Il violino.

Stride il silenzio
Che impera la’ fuori.
Il violino mi guarda,
Lezioso sorride.
E di compassione gentile
Un moto,
Poggiandosi alle dita,
Da solo intona
Di una notte l’inno
Alla beltà.

Nuda.

Nuda
Tra argentei spruzzi
Di lacustre spuma,
Come una ninfa
Danzavi melodia
D’improvvisato canto.
Dello spirito
Il cigno danzava con te
Il fatato fraseggio
E fu la danza
D’un ultimo respiro
Che la luna illuminò.

La notte.

La notte
scivola
sulle ombre
della sera.
Come un cappello
si estende
sull’ agorà
e la moltitudine
di solitudini
ed incroci
di vissuto
abbandonati
al loro
destino.
Poi,
d’ improvviso,
s’accompagna
al silenzio
e con questo
compare l’aurora.
Non è infinita
la notte.


Nella foto: P.zza Bra, Verona.

Sogni.

Sorretta è la luna
Da un pilastro di nubi.
Il lago gorgoglia,
Il mio cuore tace
Ed un sussurro
Nell’aria muove la sua canzone.
È il respiro del vento,
Pungente, odora di neve,
Che sul mio viso
Il suo alito appoggia
In questa mia notturna solitudo
Dove voglia d’estate
Ed amene risonanze
Restan sogni
In una fredda primavera.


Nella foto: me medesimo a bordo lago, una notte di luna.

A mia madre.

Violero’ i silenzi
Nelle notti di cristallo a venire.
Portato dal lieve soffio del vento
Sarà il mio respiro
A cantarti la vita,
A portarti i colori del giardino,
A parlarti del mio amore.
Basteranno piccole gocce salate
Dal mare della melanconia
A rinnovar ricordi
E carezze d’infinita tenerezza
A riempire il mio calice.
Per una volta
Non mi sentirò più solo.

Nella foto: mia madre a Forlimpopoli.

Di piante e di erbe.

Di piante e di erbe
Ha sapore la sera,
Nel cesto di frutta
Il tuo sorriso,
Rosso di pesca
Le tue labbra,
Di puro velluto.

E mentre bevo malinconia
Dal tuo calice d’oro
Per caso sul mio cuore
Lasciato,
Giungerà la notte
A trovarmi ancor più solo.

Dormirò…

Il giorno è appeso al tuo collo,
La notte ti nasconde
E il sogno ha il candore blu della neve
Che accoglie il tuo passo.

Le tue mani…
E le tue labbra,
Così pure e così lascive,
Porteranno ristoro.

Sulle dita ho il sapore del tuo nome
E dormirò,
Forse tranquillo,
Il sonno dell’attesa.

Dell’ Oligarca.

Anche nella miseria
di un disonesto intelletto
una parte sacra
alberga.
Sotto una coltre
di fetido ossido
sta lì,
dove acredine
e supponenza
ne fanno macerie
a misura
di un ego malato.
E stinto.

Rendimi l’anima.

Rendimi l’anima
spirito disperso in stranieri universi
dove tutto si confonde in brune coltri
di vulcaneo sale.
Per un attimo,
dimentico dei tuoi reconditi disegni,
lascia tra le trame dei veli squarciati
trasparire un raggio di sole
affinché l’anima mi sia resa.